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Quella strana cosa chiamata “teatro”
Sono alla Fiera del libro di Roma. Un brusio sommerso fa da sottofondo alla mia passeggiata. La gente è tanta e ciascuno guarda, tocca, spesso lascia e se ne va. Io sono una tra tanti, mi aggiro inquieta alla ricerca di pubblicazioni teatrali, il mio pane quotidiano.
Io – Mi scusi, avete una collana di teatro?
Lei – Non siamo una gioielleria, siamo una casa editrice.
Io – Infatti, intendevo libri di teatro.
Lei – Mi dispiace, non capisco.
Io – Cosa non capisce?
Lei – Quali libri sta cercando.
Io – Di teatro… (scandendo) tea-tro, sa cos’è?
Lei – …
Io – Va bene, non importa.
6
Vivere x scrivere o scrivere x vivere?
L’amletica domanda ha risposte che si intrecciano. Se scrivi per vivere finisci per perdere di vista l’essenza stessa del percorso artistico, governato dalla purezza dello slancio creativo; se vivi per scrivere hai comunque qualche problema di socializzazione, visto che scrivere è per lo più un atto solitario e potresti perdere di vista la percezione di te e di ciò che ti circonda.
E allora? Forse la soluzione è in un’altra moltiplicazione: vivere x vivere = scrivere. Vivi e scrivi ciò che vivi, perché se tutte le emozioni non le hai prima vergate a sangue sulla tua pelle non sarai in grado raccontarle, risulterai bugiardo e questa bugia emergerà da ogni parola come fosse scritta con succo di limone.
Quindi vivi come se non ci fosse un domani, e scrivi come se dovessi vivere in eterno.
5
Scrivere per gli altri è perdere un pezzettino di sé ogni volta.
Il personaggio? Lo voglio alto, basso, bruno, biondo, vecchio, giovane. Ne voglio uno, due, tre, otto… un’intera compagnia da accasare. Il tema? Voglio che si parli di vita, di morte, di sogni, di niente. Il genere? Voglio che sia triste, leggero, romantico, stupido.
E io, cosa Voglio?
4
L’attore è un inguaribile narcisista. Come l’inguaribile romantico ulula alla luna invocando tra spasimi e sospiri il nome dell’amata, e gli batte il cuore al suono di quel nome e cerca gli occhi di lei in quelli di ciascuna donna, così l’inguaribile narcisista ulula ai fari appesi alle graticciate invocando tra spasimi e sospiri il proprio pallido nome, e trema di arrogante appagamento al suono di quel nome, cercando nell’applauso del pubblico l’effimero consenso. Chi è che disse: «L’umiltà è la virtù dei grandi»? Meditate attori… meditate.
3
Anni fa, in occasione di una rassegna, incontrai un giovane attore/drammaturgo che prendeva in giro le mie pause. Lui infatti, nei suoi testi, di pause non ne aveva, era il suo modo di vivere il teatro, tutto d’un fiato senza interruzioni.
Per me invece le pause sono sempre state importanti, sia in palcoscenico sia nella vita. Negli anni ho modificato il mio modo di essere, il mio modo di pensare e, di conseguenza, il mio modo di scrivere. Ma le pause no, quelle sono rimaste, anzi, a volte si sono allargate a dismisura fino a divenire un enorme respiro, fino a riempire interi minuti di silenzio, fino a divenire esse stesse parola.
2
Ci pensavo giorni fa, di ritorno dalla Maremma. Gli alberi coi loro fusti mai uguali, coi loro rami – a volte tranquille braccia che si sporgono, altre volte insaziabili mani rivolte verso il cielo – esprimono una teatralità inaspettata: drammatici gli ulivi dai busti contorti, conviviali e ironici i cipressi coi pinnacoli protesi a spolverare il vento, commedianti raffinati i pini, sempre colti nell’atto di allargare le braccia al pubblico di turno.
1
Rimango sempre basita di fronte alla superficie su cui vengono scritti i nomi degli autori di cinema o teatro. Una superficie talmente liscia da cui i nomi, inesorabilmente, scivolano via. Ben diversa da quella su cui vengono vergati a inchiostro 3D i nomi del regista e degli attori. Ruvida, solida, assorbente.